Assegno divorzile

Assegno divorzile

E’ bene chiarire immediatamente che ci occuperemo in questa sede unicamente di assegno divorzile, cioè l’assegno che un coniuge versa all’altro a seguito del divorzio.

Non ci occuperemo perciò dell’assegno in  favore dei figli, i cui presupposti sono del tutto diversi da quelli che devono essere verificati per determinare la debenza e l’entità dell’assegno di divorzio, né dell’assegno di mantenimento che può essere disposto in fase di separazione personale dei coniugi.

Prima della sentenza “Grilli”

Per quasi trent’anni, almeno a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite civili n.11490 del 1990 ha prevalso un orientamento interpretativo della legge sul divorzio per il quale si riteneva che l’assegno di divorzio avesse carattere esclusivamente assistenziale dal momento che il presupposto per la sua concessione doveva essere rinvenuto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.

E ciò a prescindere dall’accertamento di uno stato di bisogno, essendo invece decisivo l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali, secondo la Corte, dovevano essere tendenzialmente ripristinate per ristabilire un certo equilibrio.

E per quasi trent’anni la Cassazione ha rigettato i ricorsi di chi interpretava l’art. 5 della L. Divorzio nel senso che esso richiedesse, per la concessione, un vero e proprio stato di bisogno del richiedente.

La sentenza “Grilli”

Questo orientamento consolidatissimo è stato ribaltato improvvisamente dalla sentenza della Prima Sezione della Cassazione civile, n. 11504 del 10 maggio 2017, che, in totale discontinuità con i precedenti, ha ritenuto che la finalità dell’assegno di divorzio fosse unicamente quella di assicurare al coniuge richiedente, privo di mezzi adeguati e nell’impossibilità di procurarseli per per ragioni oggettive, il necessario per l’autosufficienza.

Scompare dunque il criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che non costituisce più lo scopo tendenziale da raggiungere mediante la corresponsione di un assegno periodico da parte del coniuge più abbiente all’altro.

La verifica della sufficienza economica del coniuge richiedente a mantenersi da sé preclude di passare alla seconda fase della valutazione per la determinazione dell’entità dell’assegno. In altre parole, se il coniuge che richiede l’assegno ha  mezzi sufficienti a mantenersi, non è più possibile prendere in esame la sproporzione dei redditi o dei patrimoni dei due coniugi, quand’anche essa sia rilevantissima.

L’assegno divorzile dopo le Sezioni Unite

Un simile inaspettato revirement, da parte di una sezione semplice della Corte di Cassazione, ha consigliato un pressoché immediato intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che si sono pronunciate con la sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018.

Le Sezioni Unite non hanno sconfessato il più recente orientamento inaugurato dalla Prima Sezione, “mitigandolo” tuttavia con il richiamo alla necessità di procedere ad una valutazione complessiva della storia coniugale, con valorizzazione della finalità perequativa dell’assegno di mantenimento.

Può accadere infatti, e si tratta di ipotesi non infrequente, che all’atto del divorzio uno dei due coniugi si trovi privo di mezzi adeguati non per propria volontà o colpa, ma in conseguenza di scelte di conduzione della vita familiare che a suo tempo erano state compiute e condivise di comune accordo tra i coniugi. E, in una tale ipotesi, può anche accadere che, ad esempio, in adempimento di tali decisioni comuni, uno dei due coniugi abbia rinunciato alla carriera lavorativa per dedicarsi alla cura della casa e dei figli, così consentendo all’altro coniuge, liberato dalle incombenze domestiche, di far fruttare al meglio la propria propensione al lavoro. In casi come questo, è evidente che la sproporzione patrimoniale e reddituale non è attribuibile alla inerzia del coniuge più debole, e per questa ragione deve essere disposto, proprio in funzione compensativa e perequativa, un assegno in suo favore e a carico dell’altro coniuge.

Assegno che in questo caso dovrebbe essere rapportato non già al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (criterio, questo, che pare definitivamente tramontato), ma al contributo che il coniuge richiedente ha fornito allo sviluppo reddituale e patrimoniale del coniuge più abbiente.

 

Per maggiori informazioni, è possibile contattare lo studio via email o telefonicamente, per prendere un appuntamento con uno degli avvocati dello Studio, al numero 0323/502221

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